In principio se la prendevano quasi esclusivamente con chi si occupava della regione del Balochistan: Raza Rumi e Hamid Mir, due dei più famosi giornalisti pakistani, sono sopravvissuti a stento ad attentati ai loro danni. Sabeen Mehsud, attivista per i diritti umani che aveva organizzato una conferenza sul Balochistan è stata ammazzata la sera stessa. Declan Walsh, l'inviato del New York Times, è stato espulso in malo modo dal paese dopo nove anni; Carlotta Gall, sempre del New York Times, anni fa è stata malmenata, minacciata ed espulsa dal paese. Chi scrive è stata arrestata a Karachi per lo stesso motivo. Poi, il raggio d'azione si è allargato, e di molto. “I giornalisti sono stretti tra le minacce e le persecuzioni dei Taliban e quelle dei militari e dei servizi segreti. Che molto spesso agiscono non soltanto uno contro l’altro, ma anche uno per conto dell’altro”. Quasi tutti i maggiori esponenti della stampa e dei media hanno ricevuto minacce, dirette o indirette, dall’Isi e sono costretti a vivere sotto scorta e praticamente prigionieri nelle loro case”. Così un paio d'anni fa commentava Imtiaz Gul, rispettato analista politico pakistano. E negli ultimi tempi, le cose sono ulteriormente peggiorate. In vista delle elezioni, certamente, ma non solo. Il quotidiano The Dawn, fiore all'occhiello della stampa pakistana fondato nientemeno che da Ali Jinnah, è sotto tiro da tempo: intimidazioni, minacce ai singoli giornalisti e perfino un blocco alla distribuzione. Il giornale esce regolarmente, ma non si trova nelle edicole, misteriosamente volatilizzato nel percorso dalla tipografia ai rivenditori. Minacce, intimidazioni e messa in onda oscurata sono toccati anche a due dei maggiori canali televisivi di informazione, Geo e Jang TV. Un paio d'anni fa è stata promulgata una legge che proibisce di fatto ai media ma anche ai singoli, di criticare apertamente l'esercito. Pena un soggiorno nelle patrie galere, che non sono posti piacevoli a meno di essere un terrorista islamico. In quel caso somigliano a soggiorni in resort a cinque stelle, visite coniugali incluse, ma questa è un'altra storia. Risultato? I giornali pakistani, e alcuni tra questi erano tra i migliori quotidiani del subcontinente, sono stati di fatto imbavagliati. E minacce indirizzate ai ribelli da parte di zelanti cittadini ligi alla legalità cominciano a comparire anche su Twitter e Facebook. E' come la legge sulla blasfemia, una bella coperta quattro stagioni che può essere adoperata contro chiunque e in ogni caso: intanto vai in galera, poi sta a te provare che non hai fatto nulla. E la galera, nel caso di giornalisti, blogger e affini, è il male minore. Perchè nell'ultimo anno chi scontenta generali e colonnelli semplicemente scompare, come sono scomparsi alcuni blogger e persone attive sui social media. Alcuni sono ricomparsi, all'estero. E si rifiutano di dire che cosa gli è successo e perchè. L'ultima in ordine di tempo a essere stata prelevata da 'sconosciuti' figuri e poi rilasciata è stata la giornalista Gul Bukhari. Taha Siddiqi, opinionista di The Dawn, è sfuggito a stento a un tentativo di rapimento e si è affrettato a lasciare il paese. Alcuni dei blogger sono stati torturati, ma tutti hanno paura di dire da chi. La casa di Marvi Sirmed, analista politico-militare, è stata saccheggiata: non sono spariti gioielli o denaro, soltanto i computer. Ayesha Siddiqa, autrice di un famoso libro sull'esercito e una delle più famose analiste militari del paese, è costretta da più di due anni a vivere in esilio a Londra per via delle minacce ricevute. E si potrebbe continuare ancora per un bel pezzo. Il timore di rappresaglie è fortissimo, e di eroi morti per avere fatto sentire la propria voce se ne contano ormai fin troppi: giornalisti locali anzitutto, che non sono protetti nemmeno dalla fama internazionale dei quotidiani in inglese. I migliori talenti giornalistici del paese si rifiutano ormai di scrivere o commentare fatti di cronaca interna, e preferiscono parlare del vicino Afghanistan o del lontano Oriente. La parola 'esercito' non viene più nominata se non per parlare di parate militari, passare veline elogiative o dare addosso all'esercito indiano. The Dawn è finito nel mirino per aver pubblicato, tra le altre cose, una lunga intervista all'ex-premier Nawaz Sharif in cui quest'ultimo parlava senza censure delle pressioni subite negli ultimi tempi del suo mandato da parte dell'esercito e dell'Isi e delle sue idee in materia di politica estera. I 'ragazzi', come vengono ironicamente chiamati i membri dell'Isi, non si disturbano nemmeno più a negare il loro coinvolgimento ogni volta che qualcuno sparisce o viene ammazzato. L'esercito nega invece di aver dato un ulteriore giro di vite al controllo sui media in vista delle 'elezioni più truccate della storia', ma tanto non ci crede nessuno. “La situazione è tremenda sotto ogni punto di vista” chiosa un famoso intellettuale che preferisce per ovvi motivi non essere nominato “Chi può, manda i figli all’estero. Siamo tutti sotto tiro, ma siamo in molti a rifiutare di fare la cosa più facile e abbandonare il Paese”. Francesca Marino