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Riprendono in segreto i colloqui con i Taliban
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La notizia è arrivata come il classico fulmine a ciel sereno, anche se di sereno al momento il cielo sopra Islamabad non ha proprio nulla: i Taliban, dal loro ufficio politico di Doha, hanno ripreso i cosiddetti colloqui di pace. Presenti tra gli altri ai colloqui, che tra settembre e ottobre si sono svolti in diverse tornate, il fratello del mullah Omar, il capo dell'Intelligence afghana Stanakzai e un inviato americano. Nessun pakistano, e la vera notizia è proprio questa, è stato invitato a presenziare. La cosa evidentemente non ha fatto piacere a Islamabad e dintorni, e la reazione non si è fatta attendere: giorni dopo l'annuncio, sono stati arrestati a Quetta due capi Taliban. Immediatamente dopo, una delegazione proveniente da Doha è arrivata in Pakistan per discutere, ufficialmente, l'eventuale rilascio dei due signori imprigionati. Ufficiosamente, per discutere dei colloqui di cui sopra e aggiornare il governo pakistano sullo stato delle cose. Il fallimento del cosiddetto Quadrilateral Group composto da rappresentanti di Cina, Afghanistan, Pakistan e Usa e fortemente voluto da Islamabad, è ormai ufficiale. E i Taliban, che sanno benissimo di avere tutti gli assi in mano, stanno giocando su più tavoli cercando di mettere in pratica la sempre valida lezione del 'divide et impera' di romana memoria. In luglio erano volati a Pechino, che tiene ormai saldamente in mano le redini dell'economia pakistana, per appellarsi ai fratelli cinesi (notori difensori dei diritti umani) dichiarando poi: “Abbiamo informato il governo cinese delle atrocità commesse dalle forze di occupazione ai danni della popolazione afghana. Vogliamo che le autorità cinesi ci aiutino a sollevare il problema nelle conferenze internazionali e a liberarci dalle forze di occupazione”. Appena due mesi dopo, contraddicendo tutte le dichiarazioni rilasciate fino al giorno prima per cui i Taliban non si sarebbero mai seduti al tavolo delle trattative con il governo Ghani e con gli Usa “fino l'ultimo soldato delle forze di occupazione non avrà abbandonato l'Afghanistan”, gli ineffabili barbuti si sono ritrovati a discutere con gli acerrimi nemici di cui sopra. E' assai improbabile che dagli ultimi colloqui di Doha venga fuori qualcosa di concreto, ma non è questo il punto. Il punto è che i Taliban negoziano da una posizione di forza e lo sanno perfettamente. E' solo questione di tempo, e la posta in gioco diventa sempre più alta. Il governo afghano è isolato, anche e soprattutto fisicamente. La maggior parte del territorio è in mano ai Taliban che spesso giocano al gatto col topo conquistando e poi abbandonando fondamentali posizioni strategiche. Non solo: per sedere al tavolo delle trattative non sono state poste condizioni, da nessuno. I Taliban non hanno deposto le armi e non si sono ideologicamente dissociati né da Al Qaida né dalle loro posizioni, anzi. Di recente, per bocca degli Haqqani (gruppo terrorista che in Pakistan non viene neanche remotamente toccato dalle forze dell'ordine), hanno rilanciato: le trattative devono essere in linea con i principi della Sharia. Nonostante questo, nonostante le continue azioni militari e gli attentati, i signori che risiedono a Doha possiedono un passaporto e visti di ingresso rilasciati dai vari paesi in cui si recano per discutere una riappacificazione sempre più fantomatica. Come dire: chi scrive non può entrare in Pakistan per aver parlato di Balochistan e dintorni, ma i terroristi non hanno alcun problema di visto. Nè in Pakistan, né in Cina né nei paesi del Golfo. Che da parte loro manovrano bellamente gli ex-studenti di teologia. Perchè la partita che si gioca in questo momento va ben al di là dell'agenda dell'occidente tutto. Controllare l'Afghanistan significa controllare l'accesso al medioriente ed è più che mai cruciale per gli infiniti giochi politici ed economici in corso nella regione. E Islamabad non vuole e non può rinunciare, anche per nome e conto dei fratelli cinesi, al controllo sulle trattative e sulla compagine che un giorno ne uscirà. Il rischio, è di ritrovarsi a Kabul una compagine governativa ingestibile e/o filo-indiana e filo-occidentale. Non solo: il Pakistan cerca di uscire dall'isolamento politico e diplomatico in cui la politica estera gestita dal generale Raheel Sharif lo ha cacciato. Le relazioni con i Taliban da una parte e con il governo afghano dall'altra sono sempre più tese e difficili: tanto che Islamabad di recente sta cercando di costruire una narrativa diversa per ciò che accade nel paese a opera dei Taliban pakistani e per le pessime relazioni con i Taliban afghani. Secondo i pakistani, sarebbe l'India a finanziare i Taliban, pakistani o afghani che siano, per destabilizzare un paese tranquillo e pacifico come il Pakistan e per boicottare il corridoio economico tra Cina e Pakistan la cui realizzazione in termini legali e di infrastrutture comincerà tra poco. Cruciale per l'accordo, guarda caso, il Balochistan: capitale Quetta, dove risiedono i Taliban importati dal Pakistan.
Francesca Marino
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