sri lanka bomb
Pochi dubbi ci possono essere sul fatto che il bersaglio fossero i cristiani. A partire dalle 8:45 della domenica di Pasqua, sei esplosioni si sono prodotte nel giro di pochi minuti in tre chiese piene di fedeli nelle città di Negombo e Batticaloa, oltre che nella capitale Colombo, dove sono stati colpiti anche tre alberghi molto frequentati dai turisti stranieri: lo Shangri-la, il Kingsbury e il Cinnamon (ex-Oberoi International).
E pochi dubbi sul fatto che un attacco di questa portata, in un paese che sfortunatamente aveva abbassato la guardia ma che non è certo nuovo alla violenza su larga scala, non possa essere stato organizzato ed eseguito da un gruppo di delinquenti di basso livello come i componenti del Ntj.
Anche altre circostanze indicano che l’operazione ha una matrice internazionale: la scelta di colpire i cristiani nello Sri Lanka, un paese dove, secondo dati del censimento del 2011, il 70.2 per cento dei cittadini sono buddhisti, il 12.6 indù, il 9.7 musulmani, il 6.1 cattolici e l’1.3 protestanti; il fatto che non ci sia stata una rivendicazione. I gruppi più attivi dell’internazionale islamica del terrore, come il cosiddetto Stato Islamico, rivendicano tutto e sempre, anche azioni che probabilmente sono il frutto di iniziative di piccoli gruppi senza coordinamento con la centrale.
Nello Sri Lanka, i musulmani sono concentrati sulla costa orientale e sono nella quasi totalità di etnia tamil: un gruppo che può avere un peso elettorale ma per il quale l’identità etnica è più rilevante di quella religiosa. Solo negli ultimi anni, con la “radicalizzazione” di alcuni giovani musulmani si sono verificati episodi di violenza che hanno visto gli estremisti filo-califfato scontrarsi con i fanatici buddhisti, che nel paese hanno una lunga tradizione di impegno politico. In altre parole, i musulmani non hanno alcuna possibilità di impadronirsi un giorno del potere o di incidere in maniera significativa sugli equilibri politici del paese. Nel passato la dialettica politica, che spesso ha assunto la forma di una violenza spietata – crocifissioni, decapitazioni, persecuzioni delle famiglie dei “nemici” oltre a bombe, attentati e squadre della morte – ha visto come protagonisti gli estremisti della maggioranza etnica cingalese, che spesso sono monaci buddhisti e quelli dell’etnia minoritaria dei tamil. La cosiddette Tamil Tigers – il nome completo della loro organizzazione è Liberation Tigers of Tamil Eelam (“eelam” vuol dire “patria” in tamil) – sono state il primo gruppo ad usare su larga scala i terroristi suicidi. Le “black tigers”, composte da fanatici allevati fin da bambini nella mistica dei “martiri”, spesso figli o fratelli minori di militanti morti in combattimento, hanno decimato tra il 1983 e il 2009 la classe dirigente cingalese e non solo: furono terroristi suicidi delle “tigri” a uccidere nel 1991, il leader politico indiano Rajiv Gandhi, colpevole di aver cercato di portarli a trattative di pace con i dirigenti cingalesi.
In precedenza, nel 1971 e poi tra il 1985 e il 1988, da parte cingalese la violenza è stata portata avanti – oltre che dalle forze di sicurezza – dai gruppi di monaci estremisti e dal Janata Vimukti Peramune (Jvp), un gruppo marxista-leninista che raccolse molte adesioni anche tra i religiosi buddhisti. Oggi il Jvp è rientrato nella legalità e opera all’interno del sistema democratico. Dunque, la Pasqua di sangue ha una genesi “globale” e non ha come obiettivo la presa del potere da parte degli estremisti musulmani nello Sri Lanka. Ricordiamo che spesso nello Sri Lanka, sia le “tamil tigers” che il Jvp sono stati usati come copertura per i regolamenti di conti interni al mondo politico “ufficiale”, in gran parte cingalese. L’ assassinio, nel 1988, dell’attore e politico emergente Vijaya Kumaratunga, marito di Chandirka Banaranaike, rampolla della più nota dinastia politica dell’isola e presidente della repubblica dal 1994 al 2005, fu attribuito al Jvp.
Il fondatore e leader dello stesso Jvp Rohana Wijewera lo smentì poco prima di essere ucciso da una squadra della morte governativa, cioè quando non aveva più alcun bisogno di mentire. Gli assassinii del generale Denzil Kobbekaduwa, avvenuto nel 1992, e quello del dirigente politico Lalit Athulathmuladi nel 1993 furono in un primo momento attribuiti alle “tigri”.
In seguito esponenti di primo piano della politica e dei media e, nel caso del secondo, anche una commissione investigativa del governo, hanno indicato il responsabile nell’allora presidente Ranasinghe Premadasa, che temeva potessero diventare dei concorrenti pericolosi. Tanto per chiarire di che tipo di ambiente stiamo parlando, lo stesso Premadasa morì in un attentato attribuito ai tamil, una settimana dopo l’assassinio di Athulathmuladi.
Oggi forse le cose sono cambiante ma certo non possiamo escludere che la lotta per il potere interna al gruppo dirigente dello Sri Lanka possa aver qualcosa a che fare con il massacro di Pasqua.
Parlando a caldo poco dopo gli attentati il primo ministro Ranil Wickremasinghe ha confermato la notizia, emersa in precedenza, secondo la quale i servizi di sicurezza erano stati avvertiti da “una potenza amica”, probabilmente l’India, di possibili attentati condotti dal National Thowheed Jamath ma che né lui stesso, né il presidente Maithripala Sirisena erano stati messi al corrente dell’avviso.
Nelle elezioni presidenziali che si devono tenere nello Sri Lanka prima della fine dell’anno, a sfidarsi saranno probabilmente lo stesso Sirisena (candidato per lo Sri Lanka Freedom Party, Slfp), il primo ministro Wickremasinghe (United National Party, Unp) e Chamal Rajapaska dello Sri Lanka Podujana Peramuna, il cui leader indiscusso è Mahinda Rajapaksa, fratello maggiore di Chamal ed ex-presidente sconfitto a sorpresa da Sirisena nel 2015.
Mahinda Rajapaksa, che è stato eletto quando militava nello Slfp, ha condotto con successo l’offensiva politico-militare che nel 2009 ha portato alla sconfitta definitiva della Tamil Tigers e alla fine della guerra civile. È anche l’uomo che ha iniziato il processo che ha portato la Cina a giocare un ruolo di primo piano nell’economia del paese. Pechino ha fornito a Rajapaksa gli indispensabili aiuti economici e militari necessari a sconfiggere le “tigri”, oltre alla copertura politica in sede internazionale quando le forze di sicurezza srilankesi venivano accusate di violenze contro i civili.
Poi sono venuti, a valanga, gli investimenti e oggi Pechino controlla direttamente, e per novantanove anni a partire dall’anno scorso, il porto di Hambantota sulla cosa occidentale dell’isola, dove sono stati visti sottomarini della marina militare cinese.
Nelle elezioni del 2015, ha scritto il New York Times in un articolo mai smentito
[…"> almeno 7.6 milioni sono stati versati dalla China Harbor (una compagnia statale cinese) sul conto presso la Standard Chartered Bank intestato a membri del gruppo di Rajapaksa è […"> quando mancavano dieci giorni alle elezioni circa 3.7 milioni sono stati distribuiti in assegni: 678mila dollari per stampare magliette e altro materiale di propaganda e 297mila dollari per regali agli elettori, tra cui sari per le signore.
Molti commentatori, a ragione, hanno sottolineato l importanza della posizione geografica dello Sri Lanka nell’Oceano Indiano, ricordando che l’isola è uno dei principali terreni di scontro delle due potenze regionali, l’India e la Cina, entrambe governate oggi da gruppi nazionalisti estremisti che potrebbero diventare aggressivi.
Una circostanza che non si può dimenticare quando si analizza il retroterra della Pasqua di sangue, prestando sempre attenzione a non cadere nella fantapolitica.