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CRONACA DI UNA VITTORIA ANNUNCIATA
  • imran khan shalwar kameez
    imran khan shalwar kameez
Hanno cominciato a festeggiare il Naya Pakistan, il Pakistan del cambiamento, non appena i primi risultati di quelle definite “le elezioni più truccate” della storia hanno cominciato a filtrare. Perchè, come ampiamente previsto, Imran Khan e il suo Pakistan Tehreek-i-Insaf (PTI) sono i vincitori più o meno indiscussi di questa molto discussa tornata elettorale. Una vittoria annunciata, come si dice. Annunciata nei mesi scorsi dagli sforzi dell'esercito, che questa volta ha deciso di assicurarsi senza possibilità di errore un Parlamento e un primo ministro ligi alle regole e alle posizioni politiche dei veri padroni del paese, i militari. Annunciata dall'emorragia di candidati, comprati a suon di soldoni o di intimidazioni, dai partiti laici al PTI. Annunciata dall'esclusione a vita da tutte le cariche pubbliche e poi dall'arresto dell'ex premier Nawaz Sharif, dalla messa sotto accusa e dall'impossibilità di candidarsi di un buon numero di candidati eccellenti del Pmln di Sharif e dal Ppp dei Bhutto-Zardari. E annunciata dal trionfale ingresso in politica di jihadi e veri e propri terroristi depennati per l'occasione dalle liste dei terroristi nazionali: Mohammed Hafiz Saeed, sulla cui testa pende una taglia della Cia di dieci milioni di dollari; Mohammed Ahmed Ludhianvi, ideologo della pulizia etnica e religiosa, e Khadim Hussain Rizvi, fautore dell'uso della bomba atomica per liberarsi dai nemici del paese. I signori suddetti sono tutti entusiasti sostenitori di Imran Khan, meglio noto in Pakistan come Taliban Khan a causa delle sue posizioni in materia di jihadi e di rapporti con gli Usa e con l'occidente tutto, e entreranno probabilmente nella coalizione di governo. Governo guardato con estrema preoccupazione dall'amministrazione Trump, anzitutto. Gli Usa si sono rifiutati di mandare osservatori in loco per ragioni di sicurezza, ma hanno monitorato da vicino lo svolgimento del voto: e il Dipartimento di Stato si è rifiutato di certificare come 'free and fair', e cioè libere e corrette, le elezioni. Più che di elezioni si è trattato difatti di una vera e propria farsa, culminata alla fine nell'espulsione dai seggi elettorali dei rappresentanti di lista dei partiti laici e da presunti 'problemi tecnici' che hanno 'forzato' gli scrutatori a contare a mano i voti. Generali e servizi segreti hanno imparato a giocare con le stesse armi dell'occidente, e lo stanno facendo a modo loro: finita l'era degli impopolari colpi di stato, adoperano l'arma della democrazia con spregiudicatezza estrema. La stampa è di fatto imbavagliata, i rapporti con gli Stati Uniti non sono mai stati peggiori e sono destinati a peggiorare ulteriormente a meno che la virata integralista del Parlamento non ottenga gli effetti ripetutamente ottenuti negli anni dall'indimenticato generale Musharraf: ogni volta, cioè, che gli Usa danno un giro di vite a finanziamenti e aiuti di ogni genere, in Pakistan i jihadi riprendono piede. E la paura della Bomba in mano ai terroristi costringe la Casa Bianca ad aiutare i generali pakistani a combattere i terroristi da loro stessi creati. Resta da vedere se Trump accetterà di giocare al solito gioco, se farà finta di nulla accettando un Parlamento pieno di jihadi e filo-jihadi o deciderà di far saltare il tavolo una volta per tutte. In fondo, non è importante. Perchè come ben sanno cinesi e indiani, di fatto il Naya Pakistan somiglierà in modo impressionante al vecchio Pakistan, visto che è governato dagli stessi padroni. Quelli per cui i terroristi costituiscono un 'assetto strategico' fondamentale, quelli che adoperano l'integralismo religioso come mezzo di coercizione primario per terrorizzare privati cittadini e tenerli costantemente sul filo del rasoio: basta un'accusa di blasfemia per essere mandati dritti in galera, e il concetto di blasfemia è molto, molto elastico. Imran Khan, che l'occidente si ostina a dipingere come membro del jet-set internazionale, educato a Oxford e perciò accettabile come volto nuovo del paese, è in realtà espressione di quanto di più viziato esiste nella cosiddetta democrazia pakistana: anzitutto è sempre stato, molto convenientemente, un entusiastico sostenitore dell'esercito. Negli anni, è stato folgorato sulla via di Damasco della religione di Stato: o meglio, capito che non avrebbe mai potuto vincere come populista filo-occidentale fautore delle libertà democratiche, ha cambiato gli abiti di Savile Row con le tuniche politicamente corrette dei patrioti e ha cominciato ad apparire sui palchi dei comizi elettorali in compagnia di terroristi, integralisti islamici e membri dei servizi segreti militari. Che alle passate elezioni lo hanno messo alla guida del Khyber-Pakhtunkwa per testare la sua attitudine al comando: o meglio, all'obbedienza. In anni di governo del Pti nulla o quasi è stato fatto in materia di sanità pubblica, scolarizzazione, creazione di nuovi posti di lavoro. In compenso, la polizia è stata potenziata e superpagata, e le madrasa integraliste sono state finanziate con congrui fondi statali. E' improbabile, come sostiene l'ex-ambasciatore pakistano in Usa Hussein Haqqani, che “accada un miracolo” e che il burattino si rivolti contro i suoi burattinai. Le polemiche sulla correttezza del voto continueranno per un pezzo, così come i festeggiamenti e i proclami trionfali dei vincitori. Ma a perdere non sono stati né gli Sharif né Bilawal Bhutto, che rappresentavano i principali partiti di opposizione. A perdere, come sempre, è stato il popolo pakistano privato ancora una volta perfino del fantasma di quella democrazia garantita, in teoria, dalla Costituzione.
Francesca Marino
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