Si intitola: “Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Kashmir: accadimenti nello stato indiano di Jammu & Kashmir da giugno 2016 ad aprile 2018, e preoccupazioni di carattere generale sui diritti umani in Azad Jammu & Kashmir e Gilgit Baltisan”. Quarantanove pagine stilate dall'Alto Commissariato per la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, quarantanove pagine che, fin dal titolo, sono detonate come una bomba tra India e Pakistan. Si tratta del primo rapporto mai redatto sull'argomento da un'organizzazione internazionale, una vera e propria bomba politica e diplomatica suscettibile per molte ragioni di peggiorare i rapporti già tesi tra i due stati confinanti. Per capire perchè, bisogna rifarsi a un po' di storia recente. La cosiddetta “questione del Kashmir” risale al 1947, all’epoca della Partition. Quando un maharaja induista, che deteneva il potere su tutto il territorio kashmiri a maggioranza musulmano, decise per l’annessione dello Stato all’Unione indiana. Immediatamente, un contingente di truppe pakistane attraversò il confine con l’intento di annettere con la forza il territorio al neonato Stato islamico. Scoppiava così il primo conflitto indo-pakistano per la sovranità sul territorio del Kashmir, e si apriva uno dei conflitti più sanguinosi e duraturi della storia. Il cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite nel 1948 riusciva a far cessare il primo conflitto imponendo la Line of Control, ordinando al Pakistan di ritirare le truppe dalle zone che aveva occupato e all`India di indire un referendum di autodeterminazione. Il Pakistan non si ritirava dalle posizioni conquistate e si annetteva invece anche i distretti del Gilgit e del Baltisan creando così il cosiddetto ‘Azad Kashmir`. E l’India, di conseguenza, si rifiutava di indire il plebiscito. Da allora, per il Kashmir le due nazioni hanno combattuto tre guerre più il cosiddetto ‘conflitto di Kargil’ e Srinagar e dintorni sono diventate terreno permanente di guerriglia e di scontri. Da allora, il Kashmir è di fatto un territorio occupato in permanenza da decine di migliaia di truppe indiane, nonché sede privilegiata di organizzazioni jihadi finanziate e manovrate dall'ISI pakistana. Islamabad si batte da anni per internazionalizzare la questione, chiedendo una mediazione delle Nazioni Unite. L'India ribatte che lo stato di J&K è parte integrante dell'Unione e che quindi non si tratta di una questione internazionale. Perciò l'esistenza stessa del rapporto è stata percepita da New Delhi come violazione della sua sovranità territoriale e come vittoria politico-diplomatica di Islamabad. Non solo: il rapporto, dichiaratamente basato su 'osservazione a distanza' e non su fonti imparziali e indipendenti, si focalizza quasi esclusivamente sulle violazioni commesse dalle forze armate indiane, violazioni che di certo esistono, ma omette quasi del tutto di citare gruppi terroristici di matrice pakistana come la Lashkar-i-Toiba che operano nella regione. I dati relativi alla parte pakistana del Kashmir, sigillata da anni a ogni osservazione indipendente, praticamente non esistono. Perdipiù l'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra Zeid Raad Al Hussein, presentando il rapporto, ha dichiarato che domanderà: “alla Commissione per i diritti umani di considerare la formazione di una commissione internazionale di investigatori indipendenti sulle violazioni dei diritti umani in Kashmir” e ha auspicatouna soluzione politica alla disputa. Peccato soltanto che ogni volta che un premier o presidente pakistano ha cercato in qualche modo di risolvere politicamente la faccenda, a cominciare da Musharraf, è stato attaccato dai suoi concittadini di simpatie jihadi e da vari gruppi estremisti. Le violazioni dei diritti umani a Srinagar e dintorni sono figlie certamente di una miope politica di New Delhi, che va avanti da anni, e dal circolo vizioso di violenza e repressione innescato dai gruppi jihadi manovrati da oltre confine nonché da politici locali con pochi scrupoli e molta voglia di non perdere la gallina dalle uova d'oro costituita dal costante stato di guerra. A farne le spese sono, come sempre, i civili e soprattutto i giovani che, stretti tra repressione e rabbia, sono facile preda di chi promette paradisi di libertà del tutto inesistente oltre confine. A confermare le insinuazioni indiane sulla poca obiettività del rapporto, arriva dopo qualche giorno una foto: Al Hussein che posa in compagnia di separatisti kashmiri e di membri dell'Isi a Ginevra. Anni fa il Kashmir Centre sia a Washington che a Bruxelles è stato messo sotto inchiesta dall'Interpol perchè finanziato dai servizi segreti pakistani, servizi che operano con efficacia anche a Ginevra, come dimostrano gli sviluppi degli ultimi mesi riguardo al Balochistan e all'insurrezione in corso nella regione pakistana occupata illegalmente subito dopo la Partition, documenti storici alla mano. A proposito: se la Commissione ha deciso di occuparsi delle questioni interne degli stati sovrani, un rapporto analogo sulle violazioni dei diritti umani in Balochistan sarebbe benvenuto da più parti. Francesca Marino